Addentrarsi nelle Pale di San Lucano è un’esprienza bellissima. Farlo per arrampicare una di queste diventa un’avventura unica. Ed era proprio questo che Stefano ed io cercavamo, dopo due mesi quasi di quarantena forzata causa Covid-19 ed un desiderio di vivere la natura verticale incontenibile.
Come tanti, durante la quarantena ci siamo potuti dedicare solo a sogni e progetti per l’estate a venire e tra storie lette sul web, relazioni sfogliate sulle guide, legami personali con molte pareti.. Ne è venuta fuori una lista bella lunga di vie, che sicuramente non sarà sufficiente questa sola estate, neanche andassimo tutti i giorni! Tra queste, come scelta per l’inizio stagione primeggiano le Pale di San Lucano. I motivi sono svariati: la bassa quota e quindi l’assenza di neve, il clima relativamente caldo, impegno complessivo lungo e quindi utile a “fare un buon fondo” per la stagione e soprattutto tanta voglia di quella natura che ci è stato proibita per due mesi.
Conobbi la Valle di San Lucano durante l’infanzia, grazie ad amici di famiglia che hanno là dentro una seconda casa e che, decisamente ospitali e accoglienti, aprono le porte a chi voglia condividere con loro il posto.
Con gli occhi di una bambina non potei notare la singolarità del luogo, ma sicuramente potei già apprezzarne l’isolamento perché non c’era telefono e la rete mobile di nessun operatore prendeva e perché si trascorreva l’intera giornata sù e giù per sentieri, cime e boral senza mai incontrare anima viva. Il ricordo d’infanzia più nitido, legato alla casa di San Lucano, è stata una notte di agosto trascorsa su uno sdraio in giardino dove non potevo chiudere occhio estasiata dalla quantità di stelle cadenti che solcavano il cielo senza tregua.
Passarono gli anni, la valle rimase sempre lì, io allargai di molto i miei orizzonti, imparai ad arrampicare, scoprì in questa attività una grandissima passione e ci feci ritorno proprio per metter mano sulle lunghe e ripide pareti di roccia che la racchiudono. Che estate quell’estate.. La prima che diede inizio alla mia dipendenza da parete. Con i miei prodi compagni di cordata di stagione, Checco Marra e il Cinghio, salimmo dapprima lo spigolo Nord dell’Agner e nel giro di qualche settimana il diedro Casarotto-Radin sullo Spiz di Lagunaz. Le due vie si guardano negli occhi separate nel mezzo dalla valle di San Lucano: sali su una ed automaticamente vuoi salire anche sull’altra. L'esperienza sullo Spiz di Lagunaz fu molto importante per scoprire la bellezza di vivere un itinerario così lungo e articolato, dove il bivacco in parete raggiunto dopo aver scalato gli ultimi tiri con la lampada frontale e 1200 metri di vuoto sotto i piedi, costituiva l’elemento fondamentale per entrarne in simbiosi.
Anche Stefano scalò la stessa via appena due mesi prima (scelta sicuramente più azzeccata per le temperature più contenute!!).
Non mi raccontò dell’esperienza perché allora ci conoscevamo appena, ma ricordo un suo post su facebook (allora molto sporadici) dove trasparivano gli stessi stati d’animo che caratterizzarono la mia di esperienza: elettrizzato dall’euforia alla partenza e grande soddisfazione al rientro.
Così, complici di due esperienze sicuramente diverse ma per molti versi simili, ieri e l’altro ieri (24 e 25 maggio 2020) tornammo sullo Spiz di Lagunaz insieme. Ne è passata di acqua sotto i ponti in questi anni.. L’intera giornata in parete e i bivacchi all’addiaccio sono tutt’altro che una novità, ma il gusto per l’avventura è rimasto lo stesso e così la voglia di vivere quest’ambiente tanto selvaggio e soprattutto insieme. Scegliamo di salire la via Collaborazione, interessante per lo stile di apertura appunto collaborativo e perché consigliataci da un paio di amici.
Quando abitavamo a Padova, il tragitto in auto che ci separava dalle montagne era un momento per ripensare alla scelta della via che volevamo scalare con un po' di ansia per le eventuali difficoltà ma per far prevalere poi l’entusiasmo di quello che sarebbe stato. E anche se era un momento a suo modo bello, ora per fortuna non abbiamo più da attraversare mezzo Veneto per raggiungerle e quindi senza pensieri alle 16.30 parcheggiamo l’auto alla mitica Baita del Tita, mangiamo al volo una banana nella speranza di allungare il più possibile la nostra riserva energetica e ci incamminiamo nella boscaglia retrostante.
Un pò timorosi di trovare il bosco completamente ostruito dal disastro dell’uragano Vaja di due anni fa, ce la caviamo invece solo con cinque minuti un po' intricati, per il resto raggiungiamo la base dello zoccolo a colpo sicuro.
Oltre a Vaja, la Valle di San Lucano ha subito un pesante incendio nello stesso periodo e se ne vedono in parte i danni lungo lo zoccolo dove si trova il terreno bruciato e non coeso. Così l’avvicinamento allo Spiz si caratterizza ora da: molto sudore e altrettanta sete, irritazione di ortiche, aghi, fogliame e terriccio appiccicati al corpo sudato, con aggiunta di segni neri del fuoco e soprattutto un gran tironare di alberi per salire e non scivolare giù!
Quando poi in due ore e mezza raggiungiamo il cosiddetto “hotel Massarotto” la nostra costernazione non può che andare a lui, il grande Lorenzo Massarotto, che avrà salito questo zoccolo non so quante volte (e probabilmente altrettante in discesa), da solo e con uno zaino che per i materiali di un tempo sarà pesato almeno il doppio del nostro se non di più. Il nostro soggiorno in hotel è molto piacevole: ci siamo solo noi immersi in questo castello di roccia, accendiamo un fuoco per scaldarci un pò per la cena e poi, rintanati nella grotta al riparo dal vento freddo che soffia, dormiamo sogni tranquilli.
"La sveglia delle 3 suona presto, veloci siamo in movimento e in breve ci troviamo già sotto alla sezione centrale della via, dopo 250 metri di arrampicata facile su roccia solida."
Qui il ritmo cambia all’improvviso e anche la roccia: non è più così solida e forse siamo ancora un po' “intorpiditi” dall’inverno perché non siamo così tranquilli ad aggrapparci su questi gialli dalla dubbia tenuta. Ad ogni modo, ci si riesce sempre a proteggere bene e un po' alla volta saliamo questa lunga parete. Superiamo diversi passaggi in artificiale, purtroppo lo zaino sulle spalle e la velocità che è d’obbligo per uscirne in giornata, non ci lasciano tempo di provare diversamente. Contrariamente alle aspettative e alle caratteristiche della zona, fa molto freddo: restiamo tutto il giorno col piumino ed una spiacevole aria fredda che ci gela le mani ad ogni sosta. Terminiamo la sezione più impegnativa con sollievo e riprendiamo un ritmo più rapido e spensierato fino in cima.
Ci concediamo qui una breve pausa per mangiare e bere qualcosa al volo, ma poi si riparte decisi perché la discesa dallo Spiz è quasi come ripetere mezza via di salita! Tre doppie ci depositano all’intaglio tra lo Spiz di Lagunaz e la Torre di Lagunaz, dove proviamo a scavare nella nostra memoria sbiadita per trovare il ricordo di dove sia il punto debole per risalirla ma purtroppo è come andare a vista di nuovo. Però tutto fila liscio, fino alla cima, alle successive corde doppie per mettere i piedi sul Monte San Lucano. Purtroppo non troviamo il libro di vetta (forse sommerso dalla neve?) e non possiamo lasciare la nostra firma, così come rileggere quelle di svariati amici che sappiamo esser passati quassù.
“E’ sempre bello leggere il nome di persone vicine salite sulla stessa parete, ognuno col suo viaggio. Per quanto in anni o giorni diversi, è un po' come condividerla anche con loro."
Aggiriamo il monte lungo una cengia di camosci con la palla di sole ormai al tramonto di fronte a noi. Il sole colora i prati e le pareti di una luce magnifica, purtroppo non possiamo fermare il suo scendere se non con la macchina fotografica. Ancora 150 metri di roccette da arrampicare in discesa e qui ci coglie inaspettatamente un pendio innevato, che un po' alla volta scompare alla nostra vista con le ultime luci del sole. Al buio non troviamo dove passare senza trovarci sopra balze rocciose e decidiamo di fermarci per la notte.
“Con tutte le difficoltà tecniche ormai alle spalle, in dolce compagnia e col sacco a pelo nello zaino, prendiamo la decisione di fermarci con una tranquillità quasi disarmante."
E così viviamo il nostro secondo bivacco immersi nelle Pale di San Lucano, questa volta sdraiati sull’erba con una stellata incredibile sopra di noi ed una fastidiosissima aria gelida che non ci lascia dormire. Che notte quella notte.. due puntini appiccicati che cercano di rubarsi un po' di calore a vicenda ed una ciglia sottilissima di luna, siamo gli unici sperduti quassù.
Con le luci del mattino trovare il passaggio è molto semplice e con un camminata spedita rientriamo felici all’auto, frastornati dal gelo della notte seguito ora dal sole che batte forte.
Seduti sull’asfalto a piedi nudi, con le mani ancora pulsanti dalle abrasioni della roccia e dalla lunga camminata a braccia in giù, ci immaginiamo la Baita del Tita ancora in attività, col suo andirivieni di personaggi misteriosi, chi più chi meno oggi diventato “mitico” ma comunque tutti accomunati dall’amore per questo luogo selvaggio. E ci prendiamo una birra con loro (anzi un caffè visto l’orario), per brindare alle avventure nascoste!
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