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Alaska Expedition parte 2 - Apertura nuova via

Gold rush sul Cemetery spire

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Nell'episodio precedente..


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Trascorsa ormai una settimana al campo base, finalmente, il meteorologo Giacomo Poletti che ogni giorno ci trasmette l’aggiornamento meteo dall'Italia tramite satellitare, ci accende la speranza: "Sono previste 30/33 ore senza precipitazioni". A distanza di qualche minuto arriva anche un secondo messaggio: "Attenzione venti forti!!". Abbiamo però talmente tanta voglia di passare all'azione che diamo decisamente maggior importanza al primo messaggio e senza pensarci una volta di troppo, usciamo dalla tenda e cominciamo a preparare gli zaini.


L'organizzazione logistica della salita


Sono già le 15 e la finestra senza precipitazione annunciata dal meteorologo sarebbe cominciata l’indomani. Decidiamo di sfruttare il pomeriggio per andare a sondare la qualità della roccia del Cemetery Spire, cominciando ad aprire i primi tiri, così da lasciare le corde fisse in loco e l’indomani risalire i primi tiri già scalati e proseguire con l’apertura della linea scelta.

L’avvicinamento con gli sci è breve ma gli zaini con il materiale da apertura sono comunque molto pesanti. Affrontiamo 300 metri di zoccolo, con roccette e arrampicata mista, prima di raggiungere il punto preciso dove scegliamo di cominciare la via, concorde con gli accurati studi precedentemente fatti con il binocolo. Siamo ai piedi di un diedro perfetto, che sale dritto e continuo per una trentina di metri.. La voglia di scalarlo è incontenibile! In un paio d’ore tardo pomeridiane, apriamo così i primi due tiri della via e l’entusiasmo è alle stelle: la roccia è bellissima e l’arrampicata a dir poco logica! Allestiamo le soste di calata e facciamo rientro alla tenda per un’ultima notte prima del vero e proprio rush.


nuova via alaska gold rush cemetery spire kichatna spires stefano ragazzo silvia loreggian campo base

Siamo di nuovo sdraiati al riparo della tenda ormai alle undici di sera, ci rimangono poche ore di sonno prima di affrontare la salita vera e propria. Fortunatamente, la stanchezza ci attanaglia e non lascia spazio ai pensieri.. Sprofondiamo così nel silenzio del sonno. Complice l’entusiasmo per la qualità dei primi tiri aperti, l’indomani alle 5 del mattino siamo carichi e pronti a ripartire.


L'avventura in parete


Ripercorso l’itinerario del giorno precedente, continuiamo poi la nostra salita verso l’ignoto. La roccia rimane ancora bellissima per altre tre lunghezze che superano uno scudo di granito fessurato, dove l’arrampicata è veramente un gran divertimento: scaliamo con un uno stile concordato: il più possibile in arrampicata libera e fino a fine corda, ogni tiro è di almeno 50/55 metri di roccia e finché il compagno da sotto in sosta non urla “5 metri!” non ci fermiamo. Una volta arrivato il segnale sappiamo che nel raggio di 5 metri dobbiamo trovare una sosta e fortunatamente senza dover faticare troppo a cercare, troviamo sempre qualche fessura dove posizionare tre/quattro totem cams, fondamentali amici di quest’esperienza. Ci alterniamo al comando per diversi tiri, così da sfruttare il corpo e la mente preparati al da farsi per il maggior tempo possibile. Nel frattempo, il compagno in sosta batte i denti e lotta contro il vento incessante che non ci da tregua. Per chi scala invece la concentrazione e l’impegno sono tali da non prestare attenzione al freddo.

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Le ore passano e il vento, anziché calare, continua ad aumentare. L’arrampicata comincia a farsi più complicata, così come più complicata è la ricerca dell’itinerario migliore. Il freddo in sosta aumenta a tal punto che il secondo di cordata decide di calzare gli scarponi e risalire con le jumar i tiri successivi. Un paio di lunghezze si rivelano particolarmente ostiche dal punto di vista psicologico perché la roccia è granulosa e friabile e questo aspetto, considerato dove ci troviamo, è più difficile da gestire di qualsiasi difficoltà tecnica legata al grado. Il tempo comincia a scorrere più lentamente, la paura e i dubbi ogni tanto si affacciano nei nostri cuori ma cerchiamo di non esternare il sentimento, per continuare ad offrire tutto il supporto necessario al compagno in apertura. Fortunatamente la roccia torna solida, ma cominciano ora le difficoltà tecniche.


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Siamo ai piedi di quel lungo diedro che dal campo base immaginavamo fare da direttrice alla via. Il diedro è effettivamente spettacolare, lungo e solido. Tuttavia, due grandi tetti di cui non eravamo riusciti a cogliere la grandezza col binocolo, ne ostacolano il passaggio. Un difficile e lento tiro, ci costringe a ricorrere all’artificiale per riuscire a superare il primo dei due. L’artificiale comunque non è affatto semplice, le fessure sono intasate di stalattiti di ghiaccio e l’esposizione è importante. Di nuovo i dubbi si affacciano.. Ma intravediamo la fine della parete sopra le nostre teste ed ormai non vogliamo arrenderci. Superiamo il tetto, ancora una lunga fessura difficile e poi ci troviamo sotto al secondo tetto. Interpretiamo una soluzione di uscita sulla destra e senza indugio seguiamo quest’altra direttrice. Ancora tre lunghezze decisamente più semplici, dove però non si fanno mancare passaggi di offwidth intasati di ghiaccio e pilastrini instabili e.. La parete finisce!!



Finalmente la cima


Siamo talmente concentrati e stanchi che non abbiamo né il tempo né l’energia per gioire. Senza soluzione di continuità, il film continua a ritroso: solitamente in vetta ci si stringono le mani, si indossa il piumino, si beve dell’acqua.. Non accade nulla di tutto ciò, forse perché abbiamo già tutti i vestiti possibili addosso, forse perché fa troppo freddo per bere dell’acqua ancora più fredda, forse perché sappiamo che le mani ce le dovremo stringere quando le difficoltà saranno veramente concluse! Invertiamo semplicemente la direzione di marcia e cominciamo a realizzare la prima (di una lunga serie) sosta di discesa.


Una discesa lunga ed estenuante



La discesa si rivela estenuante e lunga. Sempre si racconta della salita come la parte più epica dell’apertura di una nuova via e sicuramente lo è, per una serie di aspetti legati all’ignoto. Ma la nostra discesa su questa parete verticale dove era difficile realizzare soste di calata con materiale d’abbandono, il vento fortissimo che ci faceva incastrare le corde durante le corde doppie e le energie che iniziavano ad abbandonarci, lo è stata ancora di più.

Per riuscire a calarci abbiamo lasciato in parete chiodi, nut e 7 spit piantati a mano da cui ci siamo calati singolarmente. La linea di discesa non corrisponde esattamente a quella di salita in quanto per cercare di evitare la sezione di roccia brutta e pericolosa trovata a metà parete e dovendo fare calate brevi a causa del vento, ci siamo trovati man mano più lontani dalla linea di salita.


In questo periodo dell’anno in Alaska non esiste l’oscurità e quindi continuiamo a muoverci ignari dell’ora finché ci accorgiamo che i nostri occhi cominciano a chiudersi ed i colpi di sonno sono sempre più frequenti. Mentre realizziamo l'autobloccante per scendere in corda doppia, ci rendiamo conto che non siamo più abbastanza lucidi perché anche questa piccola azione ci risulta difficile, guardiamo l’ora e scopriamo essere le 3 del mattino.. Siamo attivi con la concentrazione al massimo dalle 5 di questa mattina, dobbiamo assolutamente trovare un luogo idoneo a fare una breve pausa per riposarci un po’ ed evitare errori inutili e pericolosi. Continuiamo con un paio di calate ancora finché una piccola cengia inclinata ci permette di fermarci per un paio d’ore. Rimaniamo appesi alla corda di calata ancora fissata nella sosta 40 metri più in alto, è l’unico modo per cercare di rimanere seduti e non scivolare giù. Scaldiamo una busta di cibo liofilizzato, apriamo il sacco a pelo e ci avvolgiamo senza però riuscire a chiuderlo. Siamo talmente stanchi che gli occhi si chiudono da soli, usiamo il sacco a pelo aperto come una sorta di coperta per cercare di riparare il viso stanco e sferzato dal vento. Facciamo dei micro sonni ma fa talmente freddo e la cengia è talmente inclinata che dopo pochi minuti ci svegliamo scossi dai brividi e con le gambe a penzoloni nel vuoto.


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Concediamoci una pausa con un gelido bivacco sospeso


Ai nostri piedi vedo il campo base, con la tenda pronta ad accoglierci.. in linea d’aria così vicina ma al tempo stesso ancora un miraggio visti i 300 metri di parete verticale che ci separano. Il fatto di aver osservato questo stesso paesaggio per le lunghe giornate precedenti al campo base mi fa sentire ora in un ambiente quasi familiare.

Chiudo gli occhi perché sono stanca e devo riposare, ma al tempo stesso non voglio perdermi neanche un istante di questa magia, dove la notte cambia luce ogni istante che passa, timide ombre verso le 4 del mattino vengono in fretta scacciate dalla luce rosea e lieve dell’alba. La consapevolezza dell’unicità di questo momento contrasta con i bisogni fisici del mio corpo.


Ed infine, nuovamente con i piedi per terra



Dopo qualche ora ci facciamo coraggio e riprendiamo la discesa. Dopo due calate ci vediamo costretti a tagliare circa metà della corda dopo l’ennesima doppia dove si incastra irrimediabilmente e dove però non abbiamo alcuna possibilità di risalire. Procediamo così con calate ancora più corte di prima e quando finalmente raggiungiamo la base dello zoccolo ed il sole dell’ormai inoltrata mattina si fa più caldo, esplodiamo in quell’abbraccio di felicità che non ci eravamo concessi in vetta! Sparisce ogni tensione, l’euforia prende il sopravvento e tra risate e rievocazioni della salita, come se già fossero trascorsi mesi da quel giorno, facciamo rientro alla tenda. Una buona birra ci attende, conservata con ottimismo al campo base sotto la neve per l’occasione.. Non ci resta che rilassare le membra per un meritato e lungo riposo!


Conclusioni

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Non esistono guide cartacee o informazioni precise su queste zone, esiste solo la voglia di fare domande, perlustrare la geografia con strumenti satellitari, immergersi nell’ignoto partendo con molti punti di domanda rimasti irrisolti, sapendo che potrai fallire o che magari nemmeno riuscirai a raggiungere la base della parete che avevi scelto.

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In un contesto in cui tutto è ormai diventato in qualche modo facilmente raggiungibile, sicuro e pre-confezionato, riuscire a vivere avventure come questa, dove mettiamo in campo tutto quello che abbiamo imparato sino ad oggi, ci da la possibilità di continuare a crescere, sognare e riempirci di quella felicità che una volta tornati ci farà presto tornare la voglia di ripartire verso nuove mete lontane.

Un ringraziamento speciale ai nostri sponsor The North Face, Grivel, Scarpa e Totem, per averci fornito l'attrezzatura necessaria.. Indubbiamente la migliore!



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