Spedizione esplorativa nella catena degli Sharphu

la fase esplorativa per tracciare la via verso il sato peak e l'acclimatamento

Una volta posizionato il campo base, ha avuto inizio la fase esplorativa per tracciare la via verso la base del Sato Peak. La montagna era già ben visibile, ma per raggiungerla c’erano diverse morene ed avvallamenti da attraversare, alcuni anche pericolosi per la caduta di pietre in cui era necessario passare uno alla volta per evitare di innescare vere e proprie frane.
Stabiliamo un ulteriore campo base avanzato a 5300 metri, appena sotto l’inizio del ghiacciaio, necessario per avvicinarsi alla parete e per l’acclimatamento.
La salita verso il campo base avanzato é decisamente distruttiva: ci inerpichiamo carichi come muli lungo dorsali moreniche ripidissime, dove l'aumentare di quota e gli zaini pesanti che schiacciano i polmoni si fanno sentire nel respiro affannoso. La prima notte al campo base avanzato a quota 5380 non è per niente piacevole: il mal di testa e la nausea ci tormentano, soprattutto con il sopraggiungere del buio quando le temperature precipitano e la notte a -20/-25° C scorre lenta. Le ore di buio in questa stagione sono tante, dalle 5 e mezza del pomeriggio alle 6 del mattino circa, e l'escursione termica tra il giorno e la notte è molto accentuata.

Passano così i giorni, alternando giorni di riposo al campo base, salite al campo avanzato per il trasporto dell'attrezzatura, perlustrazioni lungo il ghiacciaio ed i diversi versanti del Sato Peak.
L'idea iniziale era quella di provare a scalare la parete Nord ma una volta lì ci rendiamo conto che sarebbe stato impossibile, in quanto non c’era traccia di ghiaccio o neve pressata ma solo di neve non trasformata, cristalli sfaccettati che avevano la consistenza di piccoli granelli di zucchero e che ci facevano sprofondare da mezzo metro ad un metro andando a toccare con i ramponi la roccia che stava sotto. Così dopo qualche tentativo decidiamo di riposare un paio di giorni e provare poi a salire lungo la cresta Sud Est, decisamente più rocciosa e forse per questo più sicura.
l'ascesa al sato pyramide, 6100 metri
Il 31 ottobre lasciamo il campo avanzato intorno alle 4.30 di mattina ed iniziamo la salita lungo il ghiacciaio. E’ buio e fa molto freddo, non riusciamo a scaldarci e progrediamo lentamente, la temperatura si aggira intorno ai -20 Celsius ma sappiamo che dobbiamo resistere, tra qualche ora il sole sbucherà da dietro lo Jannu e porterà la temperatura a livelli più accettabili. La neve fa dannare parecchio, perché è profonda e incosistente: fa arrabbiare che di notte ci sia un freddo così pungente da far soffrire.. ma poi sia addirittura troppo freddo da non sciogliere di giorno e quindi consentire di trovare il tanto ricercato "rigelo" notturno. Tracciamo così il ghiacciaio sprofondando a tratti fino al ginocchio e dopo quattro lunghe ore siamo al colle dove comincia la cresta.
Dopo qualche tentativo di attacco alla cresta, individuiamo il punto migliore dove salire ed inizia la scalata. Anche qui nei tratti più ripidi la neve non permette una salita agevole e cerchiamo sempre dei punti dove prevalga la roccia, anche se non sempre di qualità. La salita alterna tratti di roccia appoggiata dove procedere in conserva, a tratti più ripidi dove è richiesta invece una progressione a tiri.
Tentiamo ripetutamente di testare la tenuta della neve nel versante nord che consentirebbe una progressione molto più veloce ma siamo sempre costretti a ricorrere alla roccia, dove riusciamo almeno a piazzare qualche friend o spuntone. L'arrampicata è varia e divertente, salvo qualche tratto di massi instabili e roccia marcia.

Dopo sei ore di viaggio in cresta, arriviamo sull'anticima del Sato Peak a quota 6100, il primo obiettivo che ci eravamo prefissati. Per raggiungere la cima principale (6200 metri) bisognerebbe scendere e reperire una cresta nevosa zigzagando tra alcuni seracchi. Purtroppo però le condizioni della neve sono sempre le medesime e decidiamo quindi di concludere la nostra salita su questa cima senza nome.
la discesa dal sato pyramide
La discesa avviene lungo la stessa linea di salita, con molti tratti di arrampicata in discesa e qualche doppia dov'è più ripido o difficile. Nel tentativo di aggirare un torrione che in salita avevamo arrampicato, ci troviamo in piena parete sud su una sezione di pietre appoggiate l’una sopra l’altra che si muovono solo a guardarle. Perdiamo parecchio tempo per superare questa sezione ma con un po’ di paura riusciamo poi a tornare in cresta e da lì giù sino al colle nevoso.. Possiamo dirci in salvo!
Scendiamo lungo il ghiacciaio con le ultime luci e ci godiamo così un bellissimo tramonto sullo Jannu che come ogni giorno ci fa compagnia dominando con potenza arrogante quella valle immensa. Molte salite in Dolomiti o sull'arco alpino si concludono col buio, ma il sopraggiungere della notte quassù, tra i 6000 e i 5000 metri, a distanza di giorni da qualsiasi aiuto umano e senza possibilità di comunicare.. Ha un effetto del tutto diverso! L'arrivo alla tenda del campo base avanzato è quindi un bel sollievo. Ci togliamo gli scarponi e ci infiliamo nei sacchi a pelo vestiti così come sono, prima di crollare troviamo appena un po’ di forza per sciogliere della neve e condividere una busta di cibo liofilizzato.
I giorni successivi ci dedichiamo al riposo, al riordino del materiale e delle idee e al lungo rientro che ci separa ancora dal ritorno alla civiltà.
pensieri e considerazioni finali
A caldo, abbiamo molte emozioni addosso, alcune positive, altre negative, prevale sicuramente il rammarico per non essere riusciti a continuare e raggiungere anche la cima del Sato Peak.
Poi i giorni passano ed iniziamo a vedere con occhi diversi quello che abbiamo vissuto lassù durante le settimane precedenti.
Avevamo bisogno di staccarci da una realtà che ci era quasi diventata normale per renderci conto invece della sua eccezionalità, e così della fortuna che abbiamo avuto nel viverla; forse anche parlarne con altre persone “esterne” ci ha permesso di valutare gli eventi filtrandoli con occhi e orecchie nuovi, curiosi di scoprire cosa avevamo trovato e vissuto lassù; e forse anche la semplice distanza geografica che ha significato tornare a temperature più confortevoli, sapori e pensieri diversi!!

Quando siamo partiti per questa spedizione non sapevamo nemmeno se saremmo riusciti a trovare un modo per salire al campo base, se avremmo trovato dell’acqua o se la base della montagna che volevamo scalare era in qualche modo raggiungibile. Abbiamo camminato ed arrampicato in posti dove probabilmente nessun'altra persona aveva messo piede prima, in una spedizione totalmente auto organizzata, senza l’aiuto di sherpa e portatori, con tanti punti di domanda che hanno lasciato lo spazio all’avventura di crearsi giorno dopo giorno e farci vivere una vera esplorazione come da anni sognavamo di fare.
kalypso, nuova via di misto

Decidiamo di chiamare la nostra cima Sato Pyramide per la sua forma piramidale e di avancorpo rispetto alla cima principale.
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