El Capitan è senza dubbio la parete più maestosa nella Yosemite Valley
Partiamo per un viaggio di arrampicata in fessura in America, prima destinazione per eccellenza: la Yosemite Valley.
Al primo ingresso nella valle, senza sapere dov'è, all’improvviso ti trovi davanti El Capitan illuminato dalle prime luci dell’alba ed il primo pensiero è: “Azz ma è liscissimo, sembra impossibile da scalare!”. Poi guidi fino alla sua base, lo guardi con il binocolo, lo confronti con la relazione, e ti sembra ancora più liscio di prima!
The Nose, la linea più estetica della parete
Qualche giorno dopo ti ritrovi alla sua base con la lampada frontale, pronto per iniziare l’arrampicata, un po’ intimorito inizi a muovere i primi passi, ti senti a tuo agio, il sole inizia a sbucare dal fondo della valle e come ogni parete che prima sembrava liscia ed impenetrabile tutto inizia a diventare tridimensionale, buchi, fessure, camini e cenge iniziano a formarsi man mano che sali, ti infili dentro il ventre della montagna, ti lasci inghiottire, a volte in fessure talmente grandi che scompari dalla visuale di chi ti guarda, inizia il viaggio..
Abbiamo organizzato l’arrampicata di The Nose in tre giorni con due bivacchi. Dopo un brevissimo avvicinamento (per chi non lo sapesse, El Capitan anche per l’avvicinamento rispecchia i desideri di ogni arrampicatore: 20 minuti!) siamo all’attacco della via con le prime luci dell’alba. Le giornate sono corte in questa stagione, vogliamo sfruttare ogni minuto di luce muovendoci veloci. In parete ci sono diversi luoghi relativamente comodi per bivaccare, non ci siamo portati la portaledge e quindi abbiamo dei punti precisi da raggiungere ogni sera.
E’ la prima volta su una cosiddetta big wall, quindi con un saccone pesante al seguito, necessità di paranchi per issarlo in sosta ed uno stile di arrampicata totalmente nuovo. Abbiamo una discreta esperienza di arrampicata in granito ma El Capitan non è semplicemente un granito diverso (più liscio e scivoloso) è anche un insieme di aspetti nuovi come pendoli da venti metri per saltare da una fessura all’altra, camini terrificanti senza protezioni da sosta a sosta, sezioni di arrampicata artificiale e molto altro. Nonostante questo, o forse proprio grazie all’insieme di questi aspetti sfidanti, la determinazione e la concentrazione ci fanno procedere bene. Raggiungiamo i posti da bivacco sempre con grande anticipo, da un lato vorremmo approfittarne e provare ad andare oltre, ma l’incognita di dover trascorrere la notte appesi perché non raggiungiamo la piccola cengia dove sdraiarsi ci fa titubare e così ci limitiamo a fissare la corda sul tiro successivo così da salirlo in velocità con le jumar la mattina successiva ed a rilassarci un po’ durante la sera.
Giorno 1: 17 novembre 2021
La prima giornata di scalata procede a ritmo spedito, salvo un piccolo incidente di percorso: su un tiro in traverso il saccone non viene accompagnato a dovere e si ritrova a sbattere a velocità decisamente troppo elevata contro un diedro sulla verticale della sosta successiva. Risultato: una tanica da quattro litri esplode dentro al saccone (e per fortuna una sola!) e la borraccia da litro attaccata sotto scompare nel vuoto. Non ci lasciamo scoraggiare dall’incidente di percorso, di cui verificheremo l’entità solo una volta raggiunto il bivacco perché svuotare un intero saccone appesi in sosta non è affatto semplice! La perdita d’acqua si rivela poi salvifica, in quanto raggiungeremo la cima con altri quattro litri d’acqua in avanzo. Risulta invece poco piacevole il sacco a pelo e il materassino inzuppati di acqua per due giorni! Ma la prima notte al Cap Tower ci lascia a bocca aperta: siamo su una terrazza di sei metri per due, perfettamente orizzontale, completamente soli e con la luna piena.. Non potremmo chiedere di meglio!
Giorno 2: 18 novembre 2021
Il secondo giorno ci dà la sveglia con tutti quegli aspetti che potremmo definire “originali” dell’arrampicata su El Cap. Un bel camino che è “solo” 5.8 ma che non ha protezioni quindi del numero sulla carta proprio non ci interessa, una sequenza di artificiale, l’Hollow Flake che è quanto di più strano incontrato finora (un pendolo di 20 metri con successiva scalata di altri 20 metri verticali senza poter inserire protezioni così che il secondo possa fare una specie di tyrolienne direttamente sulla sosta successiva), ed i famigerati tiri del Great Roof e del Pancake Flake, dove pensare a chi è passato per queste lunghezze di corda e a chi soprattutto è riuscito ad affrontarle in arrampicata libera.. E’ decisamente una bella emozione! E’ simpatico che ogni tiro degno di nota (il ché vuol dire praticamente tutti) ha un nome proprio, come se ogni tiro fosse una via a sé.
Successivamente, dopo esserci goduti il nostro ritmo e la nostra solitudine in parete, non potevamo che sperimentare anche il famoso affollamento del Capitan. Prima una forte cordata che scala la via in giornata e che giustamente ha bisogno di superarci ma a cui però si incastra la corda in avanzo mentre procedono in simultanea e senza il nostro aiuto provvidenziale sicuramente avrebbero rallentato la loro tabella di marcia di non poco, e poi.. La prima cordata islandese della storia! Bello a dirsi, non altrettanto a trovarcisi letteralmente bloccati sotto per tre lunghezze di corda perché questo ha significato impiegare un paio d’ore a tiro (di cui un’ora fermi in sosta ad aspettare), scalare col buio e condividere il Camp VI per la notte, dove va bene la condivisione in parete e tutti questi discorsi qua ma.. saremmo stati meglio in due!! Per non parlare della dimensione dei loro sacconi e della quantità di bottiglie di plastica da litro appese sotto, che occupavano solo loro il posto di due persone!
Giorno 3: 19 novembre 2021
In seguito a questa scomoda notte, svegliarsi con il Changing Corner da scalare prima del sorgere del sole.. Insomma, è tutto parte del gioco che abbiamo scelto di giocare!! Dopo due giorni e mezzo di scalata il più possibile in libera, acrobazie circensi e bivacchi su posti incredibili, a mezzogiorno siamo in cima, pieni di serenità e, come direbbero alcuni amici: “con il gaso a mille”..!
Senza nessuna fretta, ci godiamo il momento ed urliamo come fanno questi pazzi americani nelle vesti degli “stone monkeys”!
Un sogno conservato nel cassetto
“Quando scalai la prima cosiddetta big wall nelle montagne di casa, ovvero le Dolomiti, già mi immaginavo di trovarmi nella valle di Yosemite, negli anni in cui si cominciavano a liberare le prime linee su El Cap. In realtà, ero ai piedi della parete sud della Marmolada, erano almeno sette anni fa ed ero pronta per una salita in giornata.
Oggi, sono in vetta a El Cap dopo aver scalato la più estetica ed iconica via della parete, con la cordata migliore che potessi desiderare e sono così felice, così orgogliosa, così spensierata..".
stay tuned!
Neanche il tempo di trascorrere una serata comodi in furgone che, mentre sorseggiamo la birra post Nose, stiamo già organizzando la salita della Salathé Wall, l'altra via status symbol che sale lungo l'immensa parete di El Capitan!
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