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Spigolo dei Fassani, Torre Vallaccia

Aggiornamento: 12 mar 2021

Devo dire che ho sempre avuto un debole per la parete della Vallaccia.


Spigolo Nord Ovest Torre Vallaccia, Toni Rizzi e Toni Gross, Val di Fassa

Durante la mia prima stagione come guida alpina ebbi la fortuna di abitare a Meida nella casa di famiglia di Silvia, una piccola frazione della Val di Fassa dove quella enorme parete grigia mi si presentava davanti durante tutto il giorno, salutandomi ogni mattina quando mettevo la testa fuori dalla finestra della camera da letto e alla sera, quando tornavo a casa in auto e lungo il rettilineo che portava verso casa appariva tutta d'un tratto sopra il bosco.


Ho perso il conto di quante volte, da solo o in compagnia sono salito al bivacco Zeni.

Con Silvia è sempre stata un'abitudine salire la sera prima al bivacco per poi andare ad arrampicare in quell'anfiteatro di roccia rimasto ad oggi ancora così selvaggio e silenzioso. Ho tantissimi ricordi delle notti passate in quella scatoletta arancione, ad ascoltare le storie di Silvia, della sua infanzia da bambina passata quassù tra queste montagne, di cui conosceva cime, sentieri, canaloni e scorciatoie e che insieme ai suoi fratelli e familiari aveva esplorato anno dopo anno. Ora al posto loro c'ero io, ed al posto di ripidi sentieri c'erano ripide pareti grigie che a colpo d'occhio apparivano lisce e levigate, con pochi accenni di punti deboli per una possibile salita.


Ogni estate siamo tornati più volte in Vallaccia, abbiamo ripetuto insieme gran parte delle vie più belle e interessanti come i 5 muri ed il canto del cigno sulla Piramide Armani.

Dopo aver ripetuto il canto cominciai a cercare nuove avventure su quelle pareti dietro casa e decisi che forse era arrivato il momento di mettere le mani anche sullo spigolo nord ovest, meglio conosciuto come spigolo dei fassani, una via aperta da Toni Rizzi e Toni Gross nel 1961, due famose guide della Val di Fassa.


Il nonno di Silvia era innamorato di questa valle, delle sue montagne e delle persone che l'abitavano, tanto da decidere alla fine degli anni 70 di comprare una vecchia casa e ristrutturarla, la stessa in cui mentre scrivo sono seduto all'interno.

Mi piace ascoltare la nonna di Silvia mentre lo ricorda, per lui queste montagne erano tutto, ed in più, essere riuscito ad entrare in amicizia con i due Toni, guide alpine ed alpinisti avventurieri della valle lo faceva sentire ancora più vicino a queste montagne. Chissà se l'alpinismo è genetico, a sentire questi racconti e guardando Silvia ascoltare le storie del nonno mai conosciuto direi di sì e probabilmente tra le decine di fratelli, nipoti e cugini della famiglia e toccato proprio a lei quel gene, ragazza dolce e magrolina che molto probabilmente ha coronato un sogno segreto del proprio nonno e non solo, diventare guida alpina.


Da qui nasce il mio desiderio di salire lo spigolo dei fassani, per rendere omaggio a chi quello spigolo lo ha salito e a chi, dalla casa di Meida del nonno Piero, per così tante volte come ho fatto io negli ultimi anni lo ha contemplato e sognato di arrampicare.



Così insieme a Silvia l'8 di luglio attacchiamo lo spigolo, i primi tiri non sono difficili e la presenza dei chiodi piantati durante l'apertura aiuta molto ad individuare la via, la qualità della roccia è varia ma per gran parte buona con alcuni punti in cui bisogna prestare attenzione.

Nel finale arrivano i tre tiri duri con sezioni di VIII+ e IX- su placche nere a buchi fantastiche, da salire con gran calma e ricordandosi di respirare, per trovare al meglio la giusta combinazione di buchi e piccole sporgenze per i piedi. Parto io per l'ultimo tiro di IX- e mi sento addosso una "gran responsabilità", abbiamo salito fino a qui tutto a vista e mi torna in mente quando durante la ripetizione del canto del cigno perdetti l'onsight per colpa di una presa che mi rimase in mano. Questo ultimo tiro è stato liberato uscendo leggermente a sinistra dalla linea di chiodi dell'apertura in artificiale e diventa anche un po' più difficile da proteggere, proprio quando penso di aver passato la parte centrale più dura la roccia diventa un po' più friabile e mentre sto provando a proteggermi su una piccola fessurina la tacca su cui sono si rompe e rimango per un secondo con quella sensazione di vuoto dietro di me, poi una mano mi spinge da dietro verso la parete e riesco ad afferrare al volo la prima sporgenza disponibile, salgo piano e con la testa che fuma l'ultima parte del tiro e quando arrivo in sosta e mi appendo sul barcaiolo mi lascio andare ad un urlo liberatorio.



Nel frattempo il sole ha girato lo spigolo e ci fa passare dal piumino alle maniche corte in un batter d'occhio, saliamo gli ultimi due tiri di quinto al sole ed arriviamo in cima con la solita atmosfera che solo la Vallaccia ti sa regalare, intorno a noi nessuno, solo una persona si intravede piccola e lontana vicino alla croce di vetta di cima Dodici.


Siamo sotto ad un cielo azzurro senza nuvole, noi due, felici, con un'altra inutile conquista tra le mani, ma che ci carica ed aiuta a continuare lungo la strada che ci siamo scelti, una strada fatta di libertà, sacrifici e passione in un mondo quasi parallelo a molti del tutto sconosciuto.


Leggi l'articolo anche su Planetmountain.

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