Spedizione esplorativa nella catena degli Sharphu
dove nasce l'idea di una spedizione esplorativa
Stefano: "Da anni sognavo di andare in Himalaya per una spedizione esplorativa, Silvia aveva già dato un'occhiata a questa catena montuosa incredibile una decina d'anni fa ma solo attraverso un bellissimo trekking e non in termini alpinistici. L’idea di mettersi in coda su una montagna commerciale però non ha mai esaltato né l'uno né l'altro.
Ho sempre avuto per la testa l'obiettivo di trovare qualche posto dove ancora nessuno avesse messo piede, dove potermi sentire esploratore e alpinista al tempo stesso. Ho provato spesso a raccogliere informazioni da chi ci era già stato ma purtroppo gli alpinisti, si sa, fanno molta fatica a condividere i loro segreti e quindi l’idea di un viaggio in Nepal è sempre svanita sul nascere. Quest'anno invece ce l'ho fatta, grazie ad un contatto giusto sono arrivate le informazioni necessarie da cui poter iniziare la ricerca."
Il suggerimento di qualche valle dove alcune cime sono ancora inviolate è solo il punto di partenza, da qui bisogna mettere i puntini sulla mappa, capire se e come sono raggiungibili i luoghi, confrontarsi con incongruenze di nomi, foto e quote relative ad ogni cima e individuare poi alcuni soggetti come agenzie locali o proprietari di lodge in loco in grado di supportare la logistica.
Così, la nostra ricerca ci ha portato alla scoperta della catena degli Sharphu: una catena di diversi 6000 nella valle del Kangchenjunga. La valle del Kangchenjunga è meta del trekking che si prefigge di raggiungere l'omonimo campo base, ma non è sicuramente uno dei trekking più popolari del Nepal. Si trova nell'estremo nord est del Nepal, al confine con il Tibet a nord e con l’India ad est.
pro e contro di immergersi in un luogo così remoto e selvaggio
Per scalare una montagna in Nepal bisogna prima "scalare" firme, carte e permessi apparentemente inutili, trasferimenti dalla capitale (centro nevralgico di tutte le attività per qualsiasi zona della nazione) alla zona scelta con un volo interno e diverse giornate di trekking.
Il nostro obiettivo iniziale era lo Sharphu III, una montagna di circa 6200 metri ancora inviolata. A qualche giorno dalla partenza però, l’agenzia nepalese ingaggiata per quanto riguarda la parte di permessi e trasporti interni, ci ha comunicato che nell'Himalayan DataBase di riferimento per il rilascio dei permessi di arrampicata, la cima risultava erroneamente alta 6800 metri, il che faceva schizzare il costo del permesso di qualche migliaia di dollari. Per quanto dalle foto in nostro possesso lo Sharphu III fosse chiaramente più basso delle altre cime attorno, ufficialmente inferiori ai 6500 metri.. La nostra misera foto non aveva il potere di cambiare il database nepalese in una settimana!
Abbiamo deciso così di spostare la nostra attenzione su un obiettivo diverso: il Sato Peak, anch'esso con una quota di circa 6200 metri e geograficamente raggiungibile dalla stessa zona.
Dopo alcune ricerche e studi tra foto satellitari e carte topografiche abbiamo individuato la zona secondo noi migliore per approcciare la montagna scelta. Questo ha significato entrare nel Kangchenjunga National Park, dove quello che noi italiani chiamiamo "avvicinamento" richiede all'incirca una decina di giorni..!
il lungo avvicinamento verso il sato peak
Ci imbattiamo così durante questa prima settimana in due lunghissime giornate come passeggeri di jeep su strade sterrate e senza alcuna regola, in altrettanto lunghe attese di persone che ci devono aiutare con il trasporto dell'attrezzatura nel passaggio dalla jeep al trekking e, dopo tre giorni, nella tanto attesa immersione nella natura che fa da padrona a questa valle.
Percorriamo il trekking che porta al Kangchenjunga base camp per quattro giorni: con partenza da Sekathum a quota 1550 metri e arrivo al piccolo villaggio di Kambachen a quota 4100 metri. Il paesaggio cambia notevolmente di giorno in giorno: si passa dalla giungla verde e rigogliosa, alle prime piane con arbusti bassi e pareti ripide ma ancora boschive, alle enormi valli glaciali chiuse da impressionanti cime di roccia e neve di 6000 e 7000.
I piccoli lodge che ci accolgono sono case in pietra allestite per ospitare gli escursionisti con pochi basici servizi come i letti su assi di legno, una sala da pranzo con un focolare nel mezzo ed una turca esterna. La difficoltà di comunicazione lascia comunque intendere la disponibilità di queste persone a cercare di fornirti il meglio che possono, come il chapati caldo e cotto al momento, le omelette di uova appena covate e le zuppe di verdure appena colte dall'orto. La loro semplicità è d'ispirazione.. rispetto al nostro stile di vita occidentale, che a confronto risulta estremamente complesso.
scelta e organizzazione del campo base
Dal villaggio di Kambachen, abbandoniamo il circuito del trekking e ci addentriamo in una valle secondaria, dove con un'altra giornata di cammino arriviamo a stabilire il nostro campo base. Il campo base sorge su una piana erbosa racchiusa da dorsali moreniche ma protetta da eventuali crolli di roccia, ed è composto da una singola tenda due posti, un cerchio di sassi per fare il fuoco, un cerchio di sassi come toilette e niente di più. Siamo soli in questa valle silenziosa. Ci sono due soli rumori a farci compagnia durante queste settimane: lo sventolare di un paio di bandiere con le preghiere nepalesi che abbiamo legato ai tiranti della tenda ed un uccellino misterioso che cinguetta puntuale al sorgere e al tramontare del sole senza farsi mai vedere.
La vista sullo Janu è incredibile: una montagna tanto affascinante quanto minacciosa di 7800 metri che ostacola l'intera valle del Kangchenjunga a qualsiasi altra visuale e presenta una larga parete che cade verticale col suo versante nord per circa 2000 metri.
Per il trasporto del materiale fino al campo base, ci siamo fatti aiutare da due yak guidati da un pastore locale. La nostra grande fortuna è stata che, a detta dello yak man, nella valle che avevamo individuato per posizionare il campo base non ci entrava più nessuno da parecchi anni, ma molti anni addietro proprio alcuni pastori vi si erano addentrati fino a quota 4500. Quel pascolo in seguito era stato abbandonato ma il nostro fidato yak man, agli albori della sua carriera da pastore, faceva esattamente parte di quel gruppetto che era arrivato sino a lì e ricordava un piccolo corso d’acqua nelle vicinanze. In questo modo, guidati dai loro sopralluoghi e dall'esperienza dello yak man, riescono ad installare il campo nella zona prescelta. L'acqua rappresentava un requisito fondamentale nello stabilire il posizionamento del nostro campo base: abbiamo cercato l'ultima fonte d'acqua disponibile alla più alta quota possibile (e raggiungibile dagli yak).
Raggiungere la zona prescelta però non è stato facile, in quanto non c'erano sentieri o tracce ed in alcuni tratti ripidi e franosi gli yak dovettero dare il meglio per non ruzzolare giù dal versante. Ad ogni modo, scaricata l'attrezzatura nella piana individuata per il campo base, salutiamo lo yak man: ci rivedremo tra un paio di settimane in data da comunicare tramite radio.. Per la seconda volta, come alla partenza del trekking, aspetteremo fiduciosi il suo arrivo senza possibilità di comunicare altrimenti!
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